Trasferimento illegittimo per i problemi di salute del dipendente: tocca al datore di lavoro dare la prova di una possibile soluzione alternativa

Nel caso specifico, il lavoratore adduce l’impossibilità di raggiungere la nuova sede di lavoro per motivi di salute che gli impediscono l’uso di mezzi propri, e l’onere di provare la disponibilità di mezzi pubblici idonei può costituire eccezione del datore di lavoro

Trasferimento illegittimo per i problemi di salute del dipendente: tocca al datore di lavoro dare la prova di una possibile soluzione alternativa

A fronte di un trasferimento illegittimo del lavoratore che adduce l’impossibilità di raggiungere la nuova sede di lavoro per motivi di salute che gli impediscono l’uso di mezzi propri, l’onere di provare la disponibilità di mezzi pubblici idonei non grava sul lavoratore ma può costituire eccezione del datore di lavoro.
Questa la prospettiva tracciata dai giudici (ordinanza numero 21530 del 26 luglio 2025 della Cassazione), i quali, chiamati a prendere in esame il contenzioso sorto in una ‘Azienda sanitaria provinciale’, aggiungono che è necessario un bilanciamento degli opposti interessi in gioco, valutando la buonafede del comportamento del lavoratore e l’inadempimento datoriale.
Nella vicenda in esame si fa riferimento ad una infermiera professionale che da dipendente di una ‘Azienda sanitaria provinciale’ ritiene illegittimo il trasferimento impostole e chiede perciò un ristoro economico.
Per i giudici d’Appello è sì valutabile come illegittimo il trasferimento di sede, disposto dal datore di lavoro, ma va esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale biologico, ciò per difetto di nesso causale in conformità alle valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio, e va anche respinta la domanda di risarcimento del danno patrimoniale (derivante dal mancato espletamento dell’attività lavorativa e dalla connessa perdita anche sul piano della professionalità) sul rilievo che la scelta di non lavorare, a seguito del trasferimento di sede, sia risultata ascrivibile alla dipendente, che, benché affetta da malattia che non le consente di guidare, non ha dimostrato l’insussistenza di mezzi pubblici per raggiungere il posto di lavoro, argomentazione, questa, che, secondo i giudici d’Appello, vale ad escludere anche la risarcibilità del danno morale.
Per i magistrati di Cassazione, però, come sostenuto dalla lavoratrice, la sussistenza o meno di mezzi di trasporto pubblici deve essere oggetto di eccezione del datore e non oggetto di prova a carico del dipendente.
In premessa, viene ricordato che, con riguardo ai rapporti sinallagmatici o di scambio, il principio di corrispettività legittima il rifiuto, Codice Civile alla mano, da parte del lavoratore di rendere la propria prestazione nei limiti di una proporzione all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e della conformità al canone di buonafede. E in questa ottica bisogna procedere ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni e sugli interessi delle parti, e tenendo presente che, con il richiamo alla non contrarietà alla buonafede, il Codice Civile intende fondamentalmente esprimere il principio per cui ci deve essere equivalenza tra l’inadempimento altrui e il rifiuto a rendere la propria prestazione, rifiuto che deve essere successivo e causalmente giustificato dall’inadempimento della controparte. E il parametro della non contrarietà alla buonafede del rifiuto ad adempiere va riscontrato in termini oggettivi, a prescindere dall’animus dell’autore del rifiuto, e costituisce espressione del principio di buonafede e correttezza nell’esecuzione del contratto.
In questo senso, la verifica della non contrarietà dell’inottemperanza del lavoratore all’ordine datoriale al canone di buonafede in senso oggettivo deve essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie, nell’ambito delle quali si può tenere conto, in via esemplificativa, della entità dell’inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore sulla organizzazione datoriale e più in generale sulla realizzazione degli interessi aziendali, elementi questi che debbono essere considerati nell’ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco.
Tali prospettive debbo trovare applicazione, precisano i giudici, anche quando, come nella vicenda in esame, si controverta del diritto al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo trasferimento del lavoratore, per la mancata possibilità di rendere la prestazione lavorativa, nei suoi riflessi patrimoniali e morali. Soprattutto tenendo presente che, a fronte dell’accertata illegittimità del trasferimento disposto dal datore di lavoro – peraltro, in assenza di idonee esigenze organizzative –, la dipendente, affetta da grave patologia (sclerosi multipla con atrofia del nervo ottico), ha addotto di non aver potuto rendere la propria prestazione lavorativa perché non in grado di raggiungere la nuova sede di assegnazione con mezzi propri per inidoneità alla guida, proprio in ragione dello stato di salute.

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